Il Castello che domina l'abitato di Valeggio, nonostante le ferite inferte dagli uomini e dal tempo, mantiene inalterata la sua suggestiva imponenza. 

La parte visitabile era in origine denominata "la Rocca", cui si accedeva attraverso due ponti levatoi; un terzo ponte levatoio, l'unico ancora esistente, immetteva nella parte più ampia del complesso, il Castello: di questo rimangono solo i ruderi delle mura perimetrali mentre l'area interna è occupata da una villa privata costruita all'inizio del '900. Entrando nel piazzale della Rocca è possibile ammirare, isolata, l'antica TorreTonda: questa singolare costruzione a ferro di cavallo è tutto ciò che rimane del primitivo maniero sorto nel X sec., probabilmente per volontà del primo marchese del Magraviato di Verona, Milione Sanbonifacio. La TorreTonda doveva formare con altre tre, raccordate da cortine merlate "guelfe", una fortificazione sulla sommità della collina. La scelta di questa luogo non era certo casuale: da secoli esisteva nella sottostante Valle del Mincio uno dei punti più sicuri per l'attraversamento del fiume, di notevole importanza strategica. In questo periodo infatti il Mincio segnava il confine tra il Sacro Romano Impero della nazione germanica ed il Marchesato di Tuscia, formato dai vasti possedimenti dei potenti Canossa.

Nel gennaio 1117, un violento terremoto scosse l'Italia settentrionale, abbattendo gran parte degli edifici in muratura, primi fra tutti torri e campanili: crollò così la prima vera fortificazione valeggiana, lasciando superstite un'unica torre, la TorreTonda.

Nel 1262 Mastino Della Scala venne eletto Capitano del Popolo e nel volgere di pochi anni la famiglia degli Scaligeri assume il controllo totale del potere in Verona, travolgendo le fragili istituzioni comunali. Nel 1285 iniziarono i lavori di ricostruzione ed ampliamento della fortificazione valeggiana: oltre alla realizzazione della Rocca e del Castello, per i quali vennero aggiunte dieci torri all'unica preesistente, venne edificato un avamposto sulle rive del Mincio, che inglobò alcune case e la piccola chiesa romanica del monastero di Santa Maria. La cinta turrita fu collegata al castello sulla collina con una "bastita", una muraglia che garantiva i collegamenti fra le due strutture.

Nel 1345 Mastino II Della Scala  diede il via alla costruzione di un'altra bastita: opera molto più impegnativa della precedente, mirava a realizzare una poderosa linea difensiva, costituita da fossati e mura merlate, che scendeva dal castello, circondava l'abitato di Valeggio, raggiungeva il fortilizio della Gerla e, proseguendo lungo il Tione, arrivava al Castello di Villafranca, per terminare nelle campagne di Nogarole Rocca, dando vita al cosiddetto "Serraglio Scaligero", lungo circa 16 km. Il lavoro nel grande cantiere fu però interrotto nel 1348 dalla tragica pestilenza della "peste nera", che falciò i due terzi delle popolazioni colpite. Portato a termine dagli ultimi Scaligeri, il Serraglio e le roccaforti valeggiane vennero conquistate nel 1387 dalle armate viscontee. Fu Gian Galezzo Visconti, Signore di Milano, nel 1393, costruendo il ponte-diga sul Mincio e raccordatolo al Castello, a realizzare un complesso fortificato unico in tutta Europa.

Il passare dei secoli, le guerre e l'incuria hanno pesantemente segnato questi antichi monumenti, che solo in anni recenti sono stati oggetto di interventi di recupero e restauro approfonditi, per poterli così restituire al patrimonio di tutti.

 

Tramandata dalla tradizione orale locale, raccontata sottovoce nei filò delle lunghe notti invernali, questa storia di sangue e mistero ha superato un lungo ponte di anni per giungere fino a noi. 

Per secoli, quando le notti erano più silenziose e buie, quando solo la luce della luna inargentava le torri merlate del Castello, nessun valeggiano osava avvicinarsi al maniero, perché tutti sapevano che qualcuno o qualcosa si aggirava lassù!

Molti, tra coloro che abitavano nelle case a ridosso del colle,dove sorgeva l'imponente fortificazione, giuravano di averlo visto: uno spettro che vagava gelido e silenzioso, imperioso e temibile, nelle notti di luna piena...

Qualcuno bisbigliava che tutto risalisse ad una tragica storia, molto vecchia, d'armi, potere e tradimenti, avvenuta ai tempi degli Scaligeri, Signori di Verona, quando, dopo che venne avvelenato per mano sconosciuta, l'ultimo dei discendenti di questa potente dinastia, Guglielmo, prese il controllo della città, se pur per breve tempo, Giacomo da Carrara, già Signore di Padova.

Questi tentò in ogni modo e con qualsiasi mezzo di tenere il potere e contrastare la crescente potenza di Venezia, che minacciosamente avanzava nelle pianura veneta.

All'inizio di gennaio del 1405, una delazione segreta, informò il Carrarese che il Castellano di Valeggio, messer Andriolo da Parma, stava trattando con u veneziani la resa e la consegna del Castello, capisaldo fortificato dell'imponente linea difensiva del Serraglio.

La reazione del Carrarese fu immediata e violenta.

L'8 gennaio, un drappello di armigeri raggiunse il Castello di Valeggio e arrestò messer Andriolo, con l'infamante accusa di alto tradimento.

Esautorato di tutti i suoi poteri, spezzata la spada, simbolo della sua autorità,il povero Andriolo fu legato e, su di un carro, trasportato a Verona dove, nel Campo di Marte, incatenato ad un palo, con un colpo di spada venne barbaramente squartato.

La sanguinaria esecuzione di Andriolo da Parma, non garantì comunque la sopravvivenza politica di Giacomo da Carrara, che, nel luglio successivo, fu costretto ad una fuga repentina dai veronesi insorti, che consegnarono spontaneamente la città nelle mani delle autorità veneziane.

Non sappiamo dove fu sepolto Andriolo: forse il suo corpo venne gettato nelle gelide acque dell'Adige che scorreva nei pressi di Campo di Marte, o forse seppellito anonimamente in qualche fossa.

Da quel tragico giorno però pare che il suo spirito tormentato, tornato tra le mura del Castello, in ogni notte di plenilunio vaghi tra le torri alla ricerca della sua spada, spezzata e sepolta in un luogo segreto dagli sgherri del Carrarese.

Andriolo cerca il suo onore perduto, senza il quale non può riposare in pace.

 

 

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